
Il pubblico della masterclass con Jean-Pierre e Luc Dardenne
Gruppi di studenti, appassionati di cinema, giovani cinefili emozionati all’idea di assistere alla masterclass dei due registi si sono messi in fila davanti all’ingresso. Il cinema Astra lentamente si è fatto sempre più denso di voci e sguardi curiosi, fino a quando ognuna delle poltrone rosse è stata occupata. Un brusio di sottofondo fatto di attesa ha preceduto l’arrivo degli ospiti. Poi all’improvviso sono entrati i due protagonisti, accolti da foto e applausi calorosi. Ad accompagnarli: Benedetta Bragadini e Filiberto Molossi, che hanno guidato l’incontro con eleganza e complicità.
Ospiti d’onore della 28ª edizione del Parma Film Festival, i due fratelli belgi hanno tenuto una masterclass che, in breve, si è trasformata in una lezione di umanità oltre che di cinema, prima della presentazione del nuovo film Giovani madri (Jeunes Mères), premiato per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2025. «Siamo un po’ come le sorelle Kessler», hanno scherzato facendo riferimento alla recente scomparsa delle gemelle e giocando sulla loro leggendaria simbiosi artistica. Una collaborazione che dura da decenni e che sfugge a qualsiasi definizione rigida: non esiste un autore e un regista, perché tutto nasce e si sviluppa a quattro mani. «Quando scriviamo una sceneggiatura passiamo mesi a discutere solo dei personaggi e della struttura, senza mettere giù una riga», ha spiegato Luc. Sul set il processo creativo è una sorta di coreografia: «Se uno ha un’idea e l’altro una diversa, non cerchiamo compromessi. Scegliamo semplicemente quella migliore per il film, mettendo da parte l’ego», ha aggiunto Jean-Pierre.
Sollecitati dalle domande del pubblico e degli studenti, i registi hanno svelato alcuni retroscena del loro metodo di casting, capace di scoprire volti di sorprendente autenticità. Il segreto? La capacità di “non fare”. «Chiediamo agli attori di sedersi e aspettare un autobus che non arriva», raccontano. «Molti iniziano a recitare l’attesa, a muoversi, a riempire il silenzio. Noi cerchiamo chi sa restare fermo, chi riesce semplicemente a essere lì».
Per i Dardenne il corpo precede la parola: la verità di un personaggio emerge da come cammina o cade, più che da ciò che dice.
Il cuore dell’incontro è stato il loro rifiuto dell’etichetta di “cinema sociale” inteso come pietismo. I Dardenne non filmano “casi”, ma persone e per farlo utilizzano una tecnica spiazzante: «Bisogna mettere la telecamera nella posizione sbagliata». Un’inquadratura perfetta dà allo spettatore il controllo, lo pone in posizione di giudizio. Una telecamera che invece fatica a seguire il personaggio, che lo perde e lo rincorre, restituisce autonomia e mistero. «Vogliamo che il pubblico esca dalla sala con delle domande, non con risposte preconfezionate».
Nel corso della masterclass i due registi hanno anche riflettuto sull’importanza del cinema d’autore in un’epoca in cui le grandi piattaforme (da Netflix ad Amazon Prime) stanno “ridefinendo” il panorama audiovisivo. Pur riconoscendone la forza e la diffusione, i Dardenne hanno sottolineato il rischio di mettere in crisi i film più indipendenti, quelli che hanno bisogno di tempo, cura e libertà per esistere. Per questo, hanno ribadito quanto siano fondamentali i fondi pubblici e il sostegno statale: senza un investimento collettivo molte storie non troverebbero più spazio né voce.
Il cinema d’autore resta necessario per preservare quella tradizione di film sociali e indipendenti capaci di lasciare un segno senza paura di lanciare messaggi forti, toccanti e a volte “scomodi”. Capaci di porre domande e di raccontare la realtà con uno sguardo autentico.
Giovani Madri: un inno corale alla resistenza

Credit: BIM distribuzione
Con Giovani Madri i Dardenne compiono un movimento laterale rispetto alla loro filmografia più nota. Abbandonano il pedinamento serrato di un singolo protagonista (come in Rosetta o Il figlio) per abbracciare una narrazione corale.
Il film ci introduce in una vera “maison maternelle”, una casa-famiglia dove cinque adolescenti imparano a diventare madri mentre lottano per restare figlie. La forza del film non risiede nella drammaticità delle singole vicende (violenza, abbandono, precarietà), bensì nella rappresentazione concreta quasi fisica della solidarietà.
I Dardenne filmano la fatica dei corpi: il peso dei neonati, i gesti ripetitivi dei cambi di pannolino, gli abbracci un po’ goffi ma necessari. È un film rischioso, che intreccia cinque archi narrativi con una precisione inedita per i due registi, ma la scommessa è vinta. Giovani Madri evita la retorica e il moralismo: non ci sono buoni o cattivi, solo una vitalità disperata che pulsa in ogni inquadratura.
La lezione dei due maestri non offre soluzioni ma apre sguardi e invita a vedere l’altro non come un problema da risolvere, ma un mistero da rispettare.



