C’è un tempo sospeso in cui i sogni di ieri si scontrano con le aspettative di domani, un tempo nato per costruire senza la certezza di avere gli strumenti adatti.

Era il 1967 quando Dustin Hoffman, nei panni di Benjamin Braddock in Il laureato, mostrava insofferenza verso il futuro che lo attendeva.

“È come se partecipassi a un gioco con delle regole che per me non hanno senso: perché le ha fatte della gente sbagliata” diceva, poi correggendosi: “No, anzi: non le fa nessuno. Sembra che si facciano da se stesse”.

Quello che sembrava un simbolo antecedente per la classe presessantottina torna, generazione dopo generazione, a prendere significato. È come se la vita avesse già messo in conto delle regole non scritte, che si vanno a insinuare nell’esperienza di ognuno e imponesse loro di rispettarle con sommaria rassegnazione. Parliamo di convenzioni sociali nate nel tempo, frutto di un accordo implicito tra individui all’interno di una comunità. Le aspettative che gravano su determinate tappe evolutive non sono fenomeni isolati, ma il riflesso di un sistema condiviso, creato per dare ordine a una realtà complessa e spesso caotica.
Sofia, 21 anni ammette:

«Sento il respiro pesante per il senso di colpa quando dedico del tempo a me stessa, anche solo per mangiare o dormire, perché sento di perdere la presa su tutti gli obiettivi, le aspirazioni e i sogni che mi sono imposta. Sento di sbagliare ogni volta che decido di rimandare un esame al prossimo appello o di prendermi qualche giorno per “staccare”».

Sottostare a certi limiti, seppur faticoso, a volte può sembrare l’unico modo per gestire la vita quotidiana in modo più sostenibile. Forse è per questo che ci imponiamo così tanto: perché vivere senza regole significa affrontare una confusione che può facilmente trasformarsi in smarrimento.
Nella terra di mezzo in cui i termini “giovani” e “adulti” si fondono, alcuni studi psicologici rilevano il fenomeno della “crisi del quarto di secolo” o “del quarto di vita”.

Secondo una revisione scientifica che ha analizzato 14 studi pubblicati tra il 2013 e il 2023, sono diversi i fattori – interni ed esterni – che possono innescare quel senso di smarrimento tipico della crisi del quarto di vita. Sul piano interno, entrano in gioco elementi come l’autoefficacia percepita, la motivazione, l’autostima, il talento, la ricerca di senso, la spiritualità, l’ansia per il futuro o la pressione nel dover raggiungere uno scopo preciso entro una certa età. Sul versante esterno, invece, pesano variabili concrete come l’età anagrafica, il genere, la qualità delle relazioni e della rete sociale, la difficoltà nel trovare un impiego stabile o il desiderio di indipendenza economica, alimentando la sensazione di essere in ritardo rispetto ai coetanei. I ventenni intervistati in uno studio recente parlano apertamente di frustrazione, delusione, incertezza: il 43% di loro si dice estremamente preoccupato per la propria capacità di “sopravvivere” da adulti. Non si tratta solo di una fase passeggera, ma di una sfida psicologica che può influenzare il benessere anche nei dodici mesi dopo la laurea.

Uno studio condotto su studenti universitari in Grecia ha mostrato come la procrastinazione non sia semplicemente un’abitudine negativa, ma possa agire come una vera e propria strategia di difesa psicologica. Rimandare compiti o decisioni importanti può servire a proteggere la persona dall’ansia, dalla paura del fallimento o dal senso di inadeguatezza che spesso accompagnano queste situazioni.
I giovani coinvolti nello studio riferivano di procrastinare soprattutto quando si trovavano di fronte a pressioni emotive difficili da gestire, come l’incertezza legata al futuro o il timore di non riuscire a raggiungere gli obiettivi prefissati. Procrastinare, in questo senso, diventa un modo per “mettere in pausa” temporaneamente questi stati emotivi, creando una sorta di spazio protetto dove non dover affrontare immediatamente la tensione o il disagio. Questo meccanismo può però trasformarsi in un circolo vizioso, perché più si rimanda, più cresce la pressione e il senso di colpa, alimentando ulteriormente l’ansia.

«L’assoluta possibilità di ogni cosa, l’incapacità di scegliere e la paura che ogni scelta sia definitiva e irrevocabile, e che possa plasmare per sempre la vita e l’esistenza», è quello che preoccupa di più Artons, 23 anni.

«La cosa peggiore è la fine di una struttura rigida e obbligatoria. Quella mancanza di scelta o opinione sulla propria istruzione, che tanto pesa agli adolescenti, è proprio ciò che più mi manca in questo periodo».

Così si torna a essere sopraffatti dal potere delle scelte, affannandosi nella ricerca delle risposte giuste, quelle capaci di farci sentire più interi, meno manchevoli. Si finisce per mordersi la coda, ricordando con nostalgia i tempi in cui qualcun altro decideva per noi e bastava seguire un copione. Forse, però, questo è il momento di provare a guardare alle possibilità come opportunità, più che come minacce. Non tanto perché il futuro sia incerto — e questa sia l’unica certezza che abbiamo — ma perché, forse, sbagliare è l’unico modo per avvicinarsi a quelle risposte che tanto ci mettono in crisi.

  • Sonia Manna

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