Dalì copertina 2

Gli iconici Chupa Chups e le boccette di profumo disegnate dal pittore spagnolo

  • foto di Federica Davoli

È una rappresentazione dei versi di Dante se possibile ancora più surreale e a tratti angosciante quella che si scorge nel percorrere le Sale Ipogee di Palazzo Tarasconi in via Farini a Parma. Qui fino all’1 febbraio 2026 è allestita la mostra Dalì tra arte e mito, il cui cuore pulsante è proprio l’immenso lavoro che Salvador Dalí ha svolto tra il 1959 e il 1963, quando il Governo italiano gli commissionò le illustrazioni dei cento canti della Divina Commedia, in occasione del settecentesimo anniversario della nascita del Sommo Poeta.

Lo spazio in cui sono esposte le sue quasi duecento opere è particolarmente suggestivo: ci troviamo nel piano interrato di un edificio di origini antiche, al quale si arriva solo dopo aver ammirato i resti delle mura romane e tardoantiche della città, passando anche attraverso una necropoli longobarda; diversi strati sovrapposti tra loro dal tempo e dalla storia che hanno plasmato Palazzo Tarasconi nella sua forma odierna.

L’allestimento si snoda tra Inferno, Purgatorio e Paradiso per un viaggio avvolgente, dall’utilizzo sapiente di luci e colori tenui di fondo, in contrasto con quelli forti delle opere esposte. Le tavole ad acquerello ripercorrono passo dopo passo tutto il cammino percorso da Dante: si parte da lui solo, in mezzo al deserto, incrociando poi creature inquietanti come le Furie o il Minotauro. Il Purgatorio si apre invece con il Regno dei penitenti, raffigurato da un serafino che di angelico ha ben poco: dal suo corpo fuoriescono alcuni cassetti, elementi rappresentativi che tornano spesso nelle opere dell’artista. Da grande ammiratore di Sigmund Freud infatti Dalì spiegò che «il corpo umano è pieno di cassetti segreti. Solo la psicanalisi è in grado di aprirli».

Purgatorio, Canto I

Dalì 11-min

Purgatorio, Canto XXVII

Il percorso termina con le immagini finalmente serene del Paradiso, dove si ripropone spesso, inevitabilmente, la figura della amatissima Beatrice. La mostra, incentrata sul rapporto tra Dalì e la letteratura classica, prosegue poi con le rappresentazioni di altri capolavori come Romeo e Giulietta, Tristano e Isotta e Il castello di Otranto, romanzo di Horace Walpole. Un vaso, un arazzo, piatti in ceramica, oggetti di design e un’installazione con specchi testimoniano quanto l’artista fosse poliedrico ed interessato all’arte in ogni sua forma.

La mostra si conclude infatti con la parte forse più sconosciuta ai più: quella legata al marketing. Ci sono boccette di profumo disegnate da Dalì, dal sinuoso e sensuale profilo femminile o a forma di dolci labbra tentatrici. La cosa più curiosa però è quello si trova sotto: dei Chupa Chups! Esatto, i mitici lecca lecca… perché è stato proprio l’artista spagnolo a disegnarne il logo: il famoso fiore giallo con contorno rosso e la scritta al centro. Che non è mai cambiato. È la dimostrazione di come Dalí abbia saputo rappresentare davvero qualsiasi cosa, dal cuore della Divina Commedia fino alle caramelle. E che, in fondo, non ci sia mai stato luogo troppo alto o troppo basso per la sua immaginazione: dalle Furie ai Chupa Chups, dal Minotauro a Beatrice, tutto rientra nel suo personalissimo ordine delle cose.

«Ogni mattina mi sveglio e, guardandomi allo specchio, provo sempre lo stesso ed immenso piacere: quello di essere Salvador Dalí»

  • Federica Davoli

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