
Foto ritratto di Giordano Cavestro
Spesso passeggiamo per le vie e le piazze di Parma, all’apparenza luoghi comuni, non sapendo che sono stati testimoni di violenze, oltre che di coraggiosi atti di resistenza e lotta per la libertà. Con la rubrica “Pillole di Resistenza parmigiana” vi racconteremo di persone sconosciute che hanno fatto la storia di queste strade.
Nello specifico parleremo del periodo che va dall’8 settembre 1943, inizio della guerra civile, al 25 aprile 1945, fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia. Perché è dal giorno dell’armistizio che i gruppi dissidenti iniziano ad agire in modo coeso, formando quella che oggi chiamiamo Resistenza. Molti partiti contrari al fascismo iniziano a reclutare giovani disertori, sbandati o semplicemente ferventi antifascisti. La voglia di combattere, specialmente dopo vent’anni di soprusi, aumenta sempre di più: i gruppi di partigiani portano avanti operazioni di sabotaggio e guerriglia contro gli invasori tedeschi e i soldati della Repubblica di Salò.
La risposta del nemico è disumana: rastrellamenti indiscriminati, torture, fucilazioni, deportazioni, interi paesi dati alle fiamme.
Parma fu protagonista di questi eventi e ve ne racconteremo il più possibile, grazie alle fonti fornite dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Parma (ISREC). Così, la prossima volta che camminerete per la città, vi torneranno in mente i protagonisti di queste storie e i loro sacrifici.
La prima tappa in cui vi porteremo è strada Cavestro: molti universitari l’hanno probabilmente percorsa per visitare la sede centrale dell’Ateneo.
Prende il nome da Giordano Cavestro, giovane partigiano che, il 14 maggio del 1944, venne arrestato assieme ad altri 50 compagni del dipartimento Griffith, vicino a Montagnana. Molti di questi giovani avevano origini popolari, la loro casa era l’Oltretorrente. Il luogo d’incontro fu scoperto a causa di un gravissimo errore: rimasero lì per più giorni rendendosi in questo modo vulnerabili. Tre furono fucilati subito, altri quindici puniti con il carcere per circa 30 anni; i restanti, disertori dell’esercito fascista, vennero condannati a morte. Mussolini però dovette sospendere la condanna a causa delle manifestazioni delle madri, sorelle e mogli dei ragazzi. Venne data loro una seconda possibilità: aderire una volta per tutte alla leva militare oppure diventare prigionieri. Scegliere la seconda opzione significava diventare ostaggi o vittime di rappresaglia, quindi andare incontro a morte certa. Fu proprio questa la scelta di Giordano Cavestro, che all’età di 19 anni fu fucilato a Bardi.
Il giorno prima della sua morte scrisse una toccante lettera:
Cari compagni,
ora tocca a noi, andiamo a raggiungere gli altri gloriosi camerati, caduti per la gloria e la salvezza dell’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca.
Io muoio ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande, bella.
Siamo alla fine di tutti i mali, questi ultimi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime che sia possibile.
Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole
così caldo, le mamme così buone, le ragazze così care.
La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che serviremo da esempio.
Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà.

Con le sue ultime parole, Giordano vuole mandare un messaggio di speranza, dimostrando che il suo animo non si è piegato di fronte alle ingiustizie e alle violenze. Ricorda ai suoi compagni perché vale la pena continuare a combattere: ciò che offre la “povera Italia” è qualcosa che va protetto, a costo della morte. In un finale atto di lucidità, in forte contrasto con l’irrefrenabile e sanguinario mostro fascista, ricorda la sua giovinezza spezzata ma per una causa in cui lui crede fortemente: senza il suo sacrificio, e quello di molti altri suoi coetanei, non sarebbe stato possibile costruire il “faro della Libertà”.



